Riguardando le opere presenti in collezione (molte devono ancora essere pubblicate) con un’ottica di largo raggio, la prima cosa che viene in mente è di trovare le differenze che portano a contraddistinguere i caratteri identificativi di ogni opera, autore e periodo. Ma dopo questo primo approccio “esclusivo” e dopo aver ordinato cronologicamente i singoli fenomeni artistici (anche se a volte è difficile trovare delle vere e proprie scansioni temporali che erroneamente finirebbero per frammentare l’operato di molti autori) ciò che stupisce e rende felici nel poter fruire dell’arte contemporanea (con radice moderna per alcuni casi) è il trovarsi proiettati in un percorso unico, dove tutto appare come concatenazione e conseguenza di ciò che è stato “prima e dopo”. Insomma ci si trova immersi in una grande esperienza estetica ed intellettuale durata per più di mezzo secolo e che trova continuità in ciò che ancora stiamo vivendo. Quando osserviamo un’opera di Mastroianni non possiamo forse vedere in essa il preludio di ciò che sarebbe successivamente stata l’esperienza di Consagra o Accardi, così come la profonda conoscenza dell’essere che ci ha donato il neorealismo di Guttuso sembra trovare continuità nell’uomo di Vangi? Proprio come l’opera di Crippa apre la strada agli altri informali che trovarono nel segno il soggetto della loro narrazione. E proprio in un momento (durato più di cinquanta anni) di grande fermento, in cui il segno e il gesto trovavano nuovo spazio e libertà sulla superficie pittorica e plastica, sono arrivati fenomeni come fluxus, che estendeva lo spazio estetico al tempo, utilizzando il suono come segno, pregno di significato e significante. Ed anche quando le nuove tecnologie prendono totalmente il posto del media tradizionale, la ricerca di quella natura umana tipica del 900 si sposta dalle tele e dal bronzo alla fotografia, come dimostrato da opere di autori come Urs Luti, così come avviene con le atmosfere nel lavoro di Galimberti.
Allora ci si potrebbe chiedere come si collega la pop o il graffitismo a quanto sino ad ora presentato e la risposta si può dare vedendo questi fenomeni sempre quali il frutto di una società poliedrica, multietnica e profondamente internazionale di cui ogni autore è stato testimone di un particolare aspetto, usando mezzi, forme e affrontando temi in modo da dare forma e visibilità a ciò che altrimenti sarebbe rimasto solo “banale quotidiano”. In conclusione questo ragionamento nasce dal fatto che ancora oggi mi sento spesso chiedere quale sia il significato dell’esperienza dell’arte contemporanea (ed a volte forse l’ho chiesto anche a me stesso) e la risposta è che, senza di essa, non avremmo avuto (soprattutto oggi) una delle più belle e multiformi visioni di un periodo storico, in cui l’uomo si è trovato ad affrontare trasformazioni, conflitti interiori e sociali, drammi, tragedie, vittorie, importanti momenti di coesione sociale, accelerazioni e tante altre esperienze che gli artisti hanno saputo affrontare restando sempre al passo col tempo, diventando spesso precursori di modi e linguaggi diventati di uso comune, trasformando per sempre il nostro modo di affrontare la realtà e di fruirne. Il Novecento è stato proprio questo “una grande esperienza vissuta dall’uomo con molteplici forme e l’arte contemporanea ne è stata lo specchio che ci rimanda alle molteplici forme di un unicum”, che continua ad emozionare.